Portare a termine un progetto di integrazione è difficile, sì. Ma necessario. Quando un cliente chiede di fare un’integrazione: si corre. Se l’iniziativa parte invece dal fornitore per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei suoi processi, ha un’alta probabilità di
fallire, anzi: di abortire. Il progetto neanche vede la luce e resta nel limbo dei desideri. Sembra tutto facile, ma non lo è, e non lo è perché non è “banale”.
Quando affrontiamo un progetto di integrazione, tendenzialmente e inavvertitamente, spostiamo sul cliente dei problemi che sono invece nostri. Il cliente questo lo avverte e respinge l’istanza. Facciamo un esempio: il cliente ci manda regolarmente un messaggio di posta elettronica contenente una disposizione, un ordine. Per lui il problema è risolto, la palla è al di là della rete.
Quando noi, invece gli diciamo che per mandarci lo stesso ordine in modo più bello, elegante, efficace ed efficiente deve attivare un web service (che diavolo è un web service?!) che gli consentirà di dialogare direttamente con il nostro sistema informatico, siamo noi che teniamo la palla nel suo campo. Gli imponiamo un costo, uno sforzo organizzativo… e lui si tira indietro con una scusa qualunque. Il progetto è morto sul nascere.
STScasu, allora, cambia tattica.
Caro cliente, non devi fare nulla, fai tutto come prima che al resto penso io, al massimo ti chiederò di inviare il messaggio ad una casella di posta diversa, ma non è detto neppure quello.
Il cliente non viene impattato da una modifica della procedura interna, non si oppone, e il progetto diventa concreto. In questo senso, STScasu realizza un sistema di banalizzazione della comunicazione con il cliente, assumendo su di sé tutte le complicazioni che ne derivano. In altre parole, investiamo sull’informatica. Del resto, i sistemi informatici sono il nostro pane quotidiano.
Che cosa significhi per STScasu “investire in informatica” lo accenneremo in un prossimo post.
Stay tuned!