“Gioca facile!”, è quello che diceva ai ragazzi l’allenatore “di pallone” di mio figlio.
A volte la complessità e la quantità di problemi mi spaventa e mi lascio prendere dal panico. È in quel momento che mi ricordo di Aldo che in campo urlava: “gioca facile!”.
Non potendo “scaricare” indietro la palla perché non sto giocando a calcio ma affrontando un problema in azienda, cerco di non farmi soffocare, di respirare e cominciare a guardare il problema dall’alto per avere una visione d’insieme.
Poi, dato che i problemi non vengono mai da soli ma a grappoli, cerco di capire se sia possibile eliminare un po’ di ostacoli collaterali. Magari sono minuzie ma togliendoli d’attorno ho meno distrazioni dal problema principale, sono comunque problemi che vengono risolti e il cliente è contento del lavoro che avanza.
In compenso potrà capitare che un cliente non sia contento non vedendo risolto il suo problema principale. Teniamo comunque conto del fatto che, a volte, l’importanza di un certo numero di problemi piccoli supera quella di uno grande e che, se si affronta per primo un problema grande, è facile che questo resti irrisolto per lungo tempo bloccando il dipanamento degli altri. Di solito i problemi non sono monoliti inattaccabili ma, anche loro, possono essere scomposti in problemi più piccoli più facili da gestire .
A questo punto cerco di astrarre il problema per trovare una soluzione generale mediamente soddisfacente (e mi sento dire che faccio filosofia) per poi calarla nella realtà delle cose con tutte le sue contingenze delle quali si deve tenere conto.
Potremmo dire che l’approccio scimmiotta un po’ il “metodo scientifico” con tutti i compromessi e tutti i limiti del caso.
È banale? No, se ci pensi bene, non è così banale. Perché diventi banale bisogna scriverlo.