La nostra rubrica sulla risoluzione dei conflitti in azienda prosegue con la presentazione di una nuova figura. Parliamo, in questo caso, delle situazioni “semplici”, in cui le parti che si stanno scontrando non si siano irrigidite in modo quasi irreversibile. È in situazioni come questa che si può agire come “facilitatori”. Un facilitatore svolge molte attività analoghe a quelle di un coach specializzato nella composizione dei contrasti o di un mediatore.
A differenza di altri ruoli nella risoluzione dei conflitti, il facilitatore ha interesse ad aiutare le parti che stanno dibattendo a raggiungere un accordo. Il facilitatore deve costruire le condizioni in cui le diverse parti possano trovare o ritrovare la fiducia l’una dell’altra. Per farlo, è indispensabile però che nutrano fiducia innanzitutto nel facilitatore stesso.
“Quando si entra in armonia con i sentimenti di qualcun altro (empatica) questo smette di vederci come una preda, smette di essere un tiranno e il suo comportamento diventa umano”.
Prima di tutto, quindi, è necessario spiegare in modo chiaro quale sia il proprio approccio. Presentare la propria prospettiva deve avere l’obiettivo di rafforzare la propria neutralità. Bisogna quindi spiegare le alternative che si vedono, in modo che chiunque abbia una posizione conflittuale sappia cosa aspettarsi.
Bisogna, poi, aiutare le parti a stabilire dei confini comportamentali, magari stilando un’agenda da seguire e organizzando più incontri, nei quali discutere insieme in modo sereno. È necessario sempre che le parti redigano “accordi intelligenti”: chiari, specifici, misurabili, concordati, realistici e vincolati al tempo.
Il facilitatore, infine, deve portare le parti a sottoscrivere gli accordi in modo consensuale, senza essere costretti ad accettarne il contenuto e i termini sotto minaccia.
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