È opinione comune che le attività svolte per la certificazione della qualità siano un male necessario per ottenere un “bollino” tanto agognato quanto inutile. Sono parzialmente d’accordo. Per esempio, mai mi è capitato che qualcuno mi chiedesse i certificati di qualità e i relativi manuali, ed una sola volta mi è accaduto che mi chiedessero il manuale relativo alla sicurezza dei dati.
In questo caso sono rimasto sorpreso due volte: la prima quando me lo hanno chiesto, e la seconda quando il mio consulente IT mi ha detto: “ah sì, eccolo”, e me lo ha consegnato immediatamente. Anche il cliente che lo ha chiesto è rimasto sorpreso. Ma, torniamo a bomba. È opinione comune che la “qualità” sia una imposizione, una cosa che cala dall’alto, che sia una inutile perdita di tempo.
La mia è che non sia così, ne per quanto riguarda i presupposti del ragionamento e men che meno le conclusioni.
“Le aziende sanno quello che fanno e non sanno come lo fanno”.
Il manuale della qualità, quindi, deve essere uno strumento per registrare come si facciano le cose in azienda. La medesima cosa può anche essere fatta in modo diverso dipendente per dipendente, non importa: ci sarà scritto il modo con il quale ogni dipendente svolge quel compito.
Magari sarà “dopo” che ci si chiederà come mai, se sia il caso di prendere nota delle volte nelle quali, benché la procedura sia così personalizzata, comunque vi siano delle eccezioni, come uniformarla e tenerla sotto controllo.
I manuali della qualità e delle procedure sono necessari, sono fondamentali. Fondamentali perché rappresentano il fondamento sul quale basare la conservazione e la condivisione della conoscenza all’interno dell’azienda. Ci sono molte aziende nelle quali i dirimpettai do scrivania non conoscono l’uno il lavoro dell’altro, e ognuno tiene nascosti i “segreti” del proprio lavoro anche all’azienda stessa, magari ritagliandosi anche qualche spazio personale o creando un centro di potere (tipico atteggiamento dei commerciali che pensano di tenere in ostaggio le aziende ricattandole anche continuamente).
Invece no: con i manuali l’azienda sa come tutto venga fatto ed è in grado di insegnare a tutti come svolgere un certo lavoro. Come si facciano le cose diventa patrimonio dell’azienda, quello che viene chiamato know how, per fare i fighi.
Ma questo “know how” è fine a se stesso? Figuriamoci! Siamo nell’era dei computer e dell’intelligenza artificiale e lasciamo a marcire tutto questo ben di Dio in logore pagine scritte?
Ovviamente no. A meno che i “manuali” non siano stati vergati in latino da un emanuense su pergamena, possiamo guardare i flussi, vedere le intersezioni, usare uno “sbrogliatore” per renderli più fluidi e… e un sistema di intelligenza artificiale che, con la sua incredibile potenza, metta in relazione tutte le cose mettendo in evidenza cose che noi non riusciremmo a vedere.
Non che l’intelligenza artificiale sia migliore delle persone e le possa sostituire, però ha un vantaggio: mentre le persone hanno sempre e comunque una visione limitata del problema, anche coloro che hanno una ampia “visione laterale”, passatemi i termini, i sistemi di Intelligenza Artificiale hanno due attributi che, normalmente, sono di Dio: sono Onniscienti e Onnipresenti.
Blasfemia? No: onniscienti perché hanno tutte le informazioni inerenti ad un problema insieme a quelle che costituiscono la loro base di conoscenza; onnipresenti perché le hanno sempre, tutte, nello stesso momento, senza distrazione (a meno che non sia guasto il sistema non presenta momenti di “assenza” cognitiva.
Posso quindi usare un sistema di IA per trovare cose che ancora non conosco dei miei processi per poterli affinare e migliorare. Qualità diventa quindi: “so come lavoro, sono in grado di condividere la conoscenza, sono in grado di tenere sotto controllo quello che faccio, ottimizzarlo e scoprire aspetti insospettati che caratterizzano il mio mondo”. Tutto questo a partite da prosaici manuali, magari non redatti superficialmente e sulla carta di focaccia.
Non lo hai mai fatto, è un lavoro lungo? Parti da uno, uno facile.